giovedì 5 settembre 2013

Paura E Delirio A Las Vegas (1998)

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Fino ad ora ho sempre scritto, in questo blog, di film mal riusciti, o riusciti a metà, o che non sono piaciuti a nessuno: insomma lavori su cui in fondo era anche facile fare dell'ironia.
Questa volta invece parlerò di un film decisamente meno scontato in questo ambito, anzi uno di quelli che se fermi uno per strada e gli chiedi cosa ne pensa, nel 99% dei casi ne tesserà delle gran lodi.
Questo film èèèè (rullo di tamburi)... “Paura E Delirio A Las Vegas”.

Credo che questo sia un classico caso di “suggestione di massa”: i primi che lo vedono dicono che è bello, allora quelli dopo continuano a dire che è bello, chi lo guarda successivamente ne ha sentito parlare così bene che gli piacerà di sicuro e se anche a qualcuno viene qualche dubbio lo sopprime, pensando “boh, sarò io che non ho capito niente” e si autoconvince che gli piaccia.
Il punto è che fondamentalmente non c'è niente da capire: ok, è un film di Terry Gilliam, ok ci recitano Johnny Depp e Benicio del Toro, ok parla di droga il che fa sempre tanto alternativo, ma ciò non toglie che sia un film stupido, inutile.
Non starò a fare la recensione vera e propria perché tanto è un film che conoscete tutti, mi limiterò a riportare i motivi per cui non sono riuscita ad apprezzarlo:

1 – Sfatiamo il mito: questo film NON fa ridere. Generalmente quando parlo con le persone delle mie perplessità sull'utilità di “Paura e Delirio...” mi rispondono che a loro è piaciuto perché l'hanno trovato divertente. Ora, quali sarebbero le parti divertenti? La scena in cui vanno al raduno anti-droga e si rendono conto di rispecchiare le caratteristiche citate dall'oratore? Wow. D'altronde è un film su due tossici, non me lo sarei mai aspettato... O la scena in cui Johnny Depp in preda ai fumi di non so cosa vede le persone come dinosauri? Ri-wow. O quando Gonzo fa quella telefonata assurda a Lucy per sbarazzarsi di lei? Sì ok, dice un sacco di cose senza senso ma questo non significa per forza che sia divertente. Il fatto è che se volete sentire storie di fattoni che fanno cose stupide vi basta entrare in una discoteca qualsiasi e parlare con qualcuno, di solito è sempre pieno di gente che non vede l'ora di raccontare le proprie prodezze di quando si sono ubriacati o si sono calati qualcosa.

2 - La famosissima bestemmia: come tutti sappiamo generalmente nei film si possono trovare parolacce a profusione, ma le bestemmie sono una rarità e sono pochissimi i film in cui compaiono.
Anche qui però vale lo stesso discorso di cui sopra: se volete sentire una bestemmia vi basta uscire di casa e parlare con qualcuno, non c'è bisogno di sciropparsi questo film. Che poi anche se fosse, non è che una frase possa reggere un intero lungometraggio, oltre al fatto che ormai le blasfemie sono state talmente sdoganate che non fanno più effetto a nessuno.

3- Johnny Depp: già, qui nemmeno Johnny Depp mi ha convinto. E non perché siano riusciti a farlo sembrare orrendo, ma perché “recita” in un modo a dir poco irritante. Tutto quello che fa è sollevare le sopracciglia, socchiudere gli occhi e abbassare la bocca, probabilmente è la sua faccia buffa standard. Ho notato comunque che di solito fa quel tipo di espressione quando non è molto convinto di un personaggio e non si impegna a recitare bene... dillo Johnny che sto film faceva pena anche a te :D

4- La voce narrante fuori campo: la voce narrante fuori campo che naturalmente racconta gli avvenimenti in modo super figo da vero ganzo. Mi irrita e mi distrae. Tu ti guardi il film e sopra c'è sta voce che parla, quasi sempre in modo iper veloce che non riesci a concentrati su quello che dice ma allo stesso tempo ti distrae da quello che vedi. Per fortuna ogni tanto non parlava.

5- La droga: ebbene qui lo dico e qui lo confermo, a me dei film incentrati sulla droga non me ne può fregar di meno. Per lo meno non quando l'argomento è affrontato in maniera ridicola e da ragazzini alle prese col primo spinello come in questo caso. Se prendiamo una storia come “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” il discorso cambia radicalmente: anche in quel caso la tossicodipendenza è il motore propulsore degli avvenimenti, ma almeno appunto succede qualcosa, c'è un'evoluzione nei personaggi, il discorso è trattato in maniera realistica. O prendiamo “Trainspotting”, che già viaggia più sull'assurdo: anche in quel caso trovo la prima metà di film irritante, per gli stessi motivi di questo, ma poi la musica cambia, il tutto diventa più credibile, i protagonisti si evolvono, le dinamiche tra di loro anche ecc.
E' anche vero che “Paura E Delirio A Las Vegas” si svolge nell'arco di pochi giorni quindi è improbabile che le persone vivano dei gran stravolgimenti, ma qui si torna all'inutilità del film: se non deve succedere niente, tanto vale non cominciare neanche.

Per me questo è un film profondamente antipatico, autoreferenziale, sembra quasi sia stato realizzato per mostrare tutta l'alternatività e la trasgressione intrinseca di regista, attori e compagnia bella. “Facciamo un film su due drogati felici di esserlo così siamo scorretti e cattivi”: peccato che a cercare di sembrare cattivi a tutti i costi si finisca poi per scadere nel ridicolo.

Ultimo appunto: ho provato anche a considerare “Paura e delirio” da un altro punto di vista, tenendo conto del fatto che la storia è ambientata nel 1971, periodo quindi in cui gli hippy sognavano di cambiare il mondo con la loro filosofia libertina e permissiva, in cui ancora non si conoscevano gli effetti devastanti delle nuove sostanze eccetera. Questo giustificherebbe quindi l'approccio così allegrotto di Duke e Gonzo e renderebbe tutto il film meno antipatico: vuole solo mostrarci le avventure di due ragazzi dell'epoca e di quello che avrebbero potuto combinare.
Bene, il film non è più odioso e trasgressive-wannabe, ma un problema rimane: annoia comunque.
Alla fine appare persino una riflessione interessante, ovvero Duke viene preso da una certa amarezza nel rendersi conto che in effetti i giovani dell'epoca non sono riusciti a migliorare poi molte cose, solo che 3 minuti convincenti dopo un'ora e mezza di nulla non sono abbastanza.

domenica 1 settembre 2013

Blood Creek (2009)

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“Blood Creek” è un film talmente ridicolo che onestamente non so neanche se abbia senso parlarne qui. Intendo dire che penso (e spero) che nessuno gli abbia mai dato veramente così credito da stupirsi per quello che dirò; in realtà non so neanche io perché l'ho guardato, considerato oltretutto che il binomio “nazisti e zombie” non mi ha mai attirato e ha una credibilità pari a zero.
Forse è stata la presenza di Fassbender a trarmi in inganno, forse il fatto che Joel Schumacher abbia fatto alcuni film che mi sono piaciuti molto (vedi “Lost Boys”, “Number 23” e pure i Batman, tiè!), e quindi ho voluto dare una chance anche a questo: fatto sta che ormai l'ho visto, e come ho sofferto io dovete soffrire anche voi.
La storia di base è molto semplice: siamo nel 1935 (periodo della Seconda Guerra Mondiale per quelli che in storia andavano male) e Hitler & company credono che ricorrere alla magia nera permetterà loro di vincere e regnare forever & ever. Non ho idea se questa sia un'invenzione del regista o se davvero lo pensassero, ma mi auguro per loro di no. Comunque i nazisti mandano dei loro uomini a soggiornare presso delle famiglie americane di origine tedesca nelle cui fattorie sono state ritrovate delle pietre incise con rune che a quanto pare servono a compiere i rituali necessari.
Sembra una cazzata colossale eh? Ed è solo l'inizio!

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Nazismo & Magia Nera

A quel punto c'è uno stacco e arriviamo ai giorni nostri: vediamo la vita quotidiana di Evan, un giovane uomo che si intuisce aver perso il fratello (tornato come un eroe dalla guerra in Iraq) durante una banale pesca al lago in compagnia, due anni prima. Se non che il fratello ricompare! Gli dice di prendere armi e munizioni, di seguirlo e soprattutto di non dire niente a nessuno, insomma le classiche cose che si dicono nei film in queste situazioni: mancava solo un “Non c'è tempo per spiegare” e sarebbe stato perfetto.

I due fratelli si dirigono alla casa in cui Victor, ora assetato di vendetta, è stato imprigionato e torturato durante gli ultimi 2 anni. E chi abita in quella casa? Indovinato! La stessa famiglia del '35, invecchiata ma non poi così tanto..
Ovviamente il povero Vic vorrebbe farli tutti fuori nel giro di cinque minuti, ma quella palla al piede di suo fratello Evan, che è il buono e virtuoso della situazione, glielo impedisce ripetutamente, anche perché si è già innamorato della ragazza 17enne-da-sempre (e poi dicevano di Edward Cullen...).
Lì già iniziavano a girarmi: ma come, ricompare tuo fratello dato per morto da due anni, terribilmente ferito, e non vuoi massacrare le persone che l'hanno ridotto così? Ok che io non sono buona e virtuosa, ma non capisco proprio perché mettere una personalità da principe Disney in un film horror. Sarà stata anche una deformazione professionale, forse: il nostro “fratello buono” infatti è paramedico, e durante il corso del film lo vedremo in preda a una specie di tic nervoso che lo porta a voler curare praticamente ogni personaggio (anche quelli che non stanno male, possibilmente) e persino a rischiare la vita per portare le medicine a uno dei componenti della famiglia di “cattivi”. Ultimo ma non meno importante lato fastidioso di Evan: è dotato di un'unica espressione, ovvero la preoccupato-stupito, solitamente tipica dei personaggi buoni che non si capacitano di come possano accadere così tante cose cattive proprio davanti ai loro occhi!
Bene, a questo punto vi chiederete: cosa c'entra la famiglia del 1940 con i due fratelli? Presto detto: la famigliola, una volta capito che l'inviato nazista non era uno storico ma una specie di stregone che voleva usare il loro sangue per resuscitare i morti, ha tentato di ribellarsi, ma dato che lui ormai era troppo potente non sono riusciti a sbarazzarsene, e per di più lui gli ha lanciato una maledizione per cui non invecchiano mai (ecco perché dopo quasi 80 anni hanno ancora la stessa età). L'unica cosa che riescono a fare per sfuggirgli è procacciargli dei poveri disgraziati che lui usa come pasto, mentre loro se ne stanno barricati in casa protetti da una runa che l'ormai-zombie non può superare.

Tutta la faccenda dei vari rituali è molto deboluccia e confusa: ogni tot scene saltano fuori nuovi passaggi a cui prima non si era neanche vagamente accennato, come se fossero stati aggiunti successivamente per riempire dei buchi nella trama.
Scopriamo tutto a un tratto che Wirth (il nazi-zombie) sta attendendo una serata di luna piena per farsi crescere un terzo occhio (???), grazie al quale avrà il potere assoluto (????). E guarda caso, la serata giusta è proprio questa! Poi salta fuori che nel capannone è custodita una sorta di armatura fatta con le ossa degli antenati di Wirth e indossandola gli si è immuni (?????).
Insomma, tanti spunti, tante idee ma nessuna sviluppata appieno: tutto quello che vediamo è lo stregone che resuscita un numero imprecisato di persone e animali (e basta, abbiamo capito che è capace!) ogni volta ripetendo il rituale con la voce cavernosa. Possiamo dire che un buon 50% delle battute del film sono costituite da tale rituale ripetuto ancora e ancora e ancora.
Comunque le cose cominciavano a mettersi male per i nostri protagonisti, Fassbender si era fatto un bel bucone in fronte per accogliere il suo nuovo occhio che prontamente era arrivato e bisognava trovare un modo per sconfiggerlo.

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Aspettando il terzo occhio


 “Come me la cavo?” si sarà chiesto lo sceneggiatore.
Ideona: facciamo che se beve il suo stesso sangue muore!

E qui boh.. sono rimasta basita! Perché mai uno dovrebbe nutrirsi di sé stesso? Mica se una sera ho voglia di bistecca mi stacco un polpaccio e lo faccio alla griglia?! O qualcuno ha mai visto film di zombie che si auto-scarnificano, lupi mannari che si sbranano l'uno con l'altro, vampiri che si dissanguano tra di loro.. Non so, è un'idea così stupida che mi pare sottinteso che non sia produttivo mangiare sé stessi. Perciò bisognava trovare un espediente per fare in modo che Wirth ingollasse il proprio dna e morisse.
Entrano in scena due elementi: il fratello buono pronto a sacrificarsi (ecco a cosa serviva il personaggio virtuoso!) e l'armatura di ossa di cui sopra.
Evan finge di darsi in pasto al mostro ma dentro i tagli preparati per far fuoriuscire il sangue cosa ci versano? Un po' di ossa-di-antenato polverizzate (ma non doveva bere il proprio sangue per morire? Vabbè..) Inutile dire che lo zombone ci casca in pieno, nonostante da uno con tutti i suoi poteri mi aspettassi come minimo un po' di chiaroveggenza (scusa, il terzo occhio che te lo sei messo a fare?) o un olfatto sopraffino, non lo so, qualcosa del genere!
Una volta morto lui muore anche tutta la famigliola, ormai liberata dall'incantesimo e quindi invecchiata per bene, e via, tutti felici e contenti.
Non tutti però! Mentre Victor è tornato da moglie e figli, Evan pensa bene di andare in giro per l'America a cercare le altre famiglie che a loro tempo erano state visitate dai nazisti-stregoni. Indovinate che simbolo formano quelle città se unite sulla mappa? Ma bravi, una svastica! Non so bene perché gli americani si approccino ai nazisti come se fossero stati solo una specie di setta inventata, ma la cosa mi destabilizza e soprattutto spero che questo finale “aperto” non voglia significare un “Blood Creek 2”.

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Banale


Lati positivi? Qualcuno ce n'è, la fotografia è bella, la musica è bella, gli effetti speciali sono fatti bene, gli attori recitano bene, a parte il fratello perennemente stupito (mi ha fatto un po' tenerezza vedere il buon Fassbender impegnarsi tanto per una boiata del genere, ma quando uno è un professionista..), insomma l'approccio generale era quello da “film serio”, peccato che l'approccio non sempre garantisca il risultato...