domenica 11 dicembre 2016

Immortal Ad Vitam (2004)

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Ovvero: perché se sei un fumettista dovresti limitarti a fare il fumettista e non i film.
Scherzo, in realtà non credo tantissimo in questa affermazione, anche perché ci sono un sacco di registi che fanno solo i registi eppure non gli riesce bene, ma in questo caso il buon Enki Bilal non ha portato a termine la missione: trasferire sul grande schermo le sue stesse graphic novel.
Infatti l’aspetto particolarmente tragicomico è che, guardando Immortal Ad Vitam, mi sono detta: “È come se avessero dell’ottimo materiale per le mani ma non sapessero come gestirlo!” e, voglio dire, scoprire che il materiale era proprio opera di chi non ha saputo gestirlo bene fa abbastanza ridere!

Per altro io non so se questo film e le mille sottotrame che non portano a nulla possano essere capiti solo da chi ha letto i fumetti ma non me frega niente: se fai un film devi porre lo spettatore nelle condizioni di capirlo, oppure all’inizio ci metti un disclaimer grande come una casa con scritto “NON GUARDARE SE NON CONOSCI IL FUMETTO PERCHÉ NON CI CAPIRAI NIENTE” così almeno lo so e metto su qualcos’altro.

Cercherò dunque di spiegarvi in maniera più lineare possibile una trama che non è lineare neanche un po’.

Siamo a New York nel 2090equalcosa, in una società ultrafuturistica con le macchine che volano e il solito cartellone pubblicitario con le geishe, che dopo Blade Runner se non c’è un cartellone pubblicitario con la geisha non è fantascienza.
Qui vivono più o meno pacificamente umani, non umani e mutanti.
La protagonista è Jill, mutante interpretata da una bellissima Linda Hardy che coi capelli blu e un look cyberpunk sta da dio, ma a quanto pare i registi francesi amano prendere personaggi la cui immagine da sola ti farebbe tutto il film e trasformarli in boiate (ogni riferimento a Il Quinto Elemento è volutissimo).

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Per dire, prometteva benissimo

Nel cielo di New York si posiziona una piramide e ci viene spiegato che Horus è stato punito per non si sa quale malefatta e gli rimangono 7 giorni per sistemare le sue faccende dopodiché dovrà rinunciare all’immortalità.

Ok, fin qui ci siamo, abbiamo gettato le basi. La teoria degli egizi-alieni mi affascina sempre quindi sono positiva.
Torniamo a Jill, perché è intorno a lei che si intrecciano gran parte degli avvenimenti, molti dei quali non vengono mai chiariti.
La prima volta che la vediamo è assieme ad un gruppo di mutanti che sono stati arrestati (o rapiti? Boh) dalla Eugenetics Corporation, una lobby farmaceutica e amorale che vuole… no, non si sa cosa vuole, di conseguenza non si sa neanche perché venga contestata e perché abbiano arrestato Jill. Che poi arrestato… le case farmaceutiche arrestano la gente? Non lo so, forse nel futuro sì, fatto sta che prendono la nostra protagonista dalla chioma celeste e la affidano alle cure della dottoressa Elma Turner, ovvero Charlotte Rampling con un’improbabile pettinatura vinilica che su un volto così iconico ci sta come i cavoli a merenda.
La dottoressa esamina Jill e scopre che ha l’anatomia di una persona di 3 mesi, si affeziona a lei, nel corso del film la seguirà e la proteggerà ma non si saprà mai il perché. Si è innamorata? Si è affezionata? In realtà è viscida e ha uno scopo segreto? Boh! Preparatevi perché di “boh” ne leggerete parecchi…

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Ma si può?
Jill è particolarmente legata a John, un uomo con la faccia coperta di stracci che le fornisce delle pilloline blu le quali le cancellano continuamente la memoria rendendola sempre più umana. A fine film John le darà una pillolina rossa (ciaoooooo Matrix!) che la trasformerà definitivamente in una donna resettando ogni ricordo di quanto accaduto fino a quel momento. Sì ok, ma chi è John? Che gli frega a John di trasformarla in un’umana? Perché lei dice di amare John? Perché se uno entra in una certa stanza indossando la tuta da astronauta può trovare John che galleggia nello spazio? Boh!

In un film di questo genere non può mancare la deriva politica: qui abbiamo Kyle Allgood, un politico che però forse possiede anche la Eugenetics (ecco perché le case farmaceutiche arrestano la gente!) che deve negoziare con la piramide perché è convinto che sia lì per mandare a monte la sua carriera diplomatica. Boh! Contestualmente assegna all’ispettore Froebe il compito di indagare su una serie di omicidi e poi, ovviamente, di trovare Jill. Perché? Forse per quel famoso arresto? Boh!

Oh io non lo so se ad alcune di queste domande il film dia una risposta, magari ho avuto dei microsonni e me le sono perse, ma sono abbastanza sicura di no perché, se devo dire qualcosa in difesa di Immortal Ad Vitam, posso affermare che non annoia. Il problema è che succedono cose ma non si sa il motivo e fin dall’inizio si ha quella sensazione che no, gli avvenimenti non confluiranno e no, tutto non assumerà un senso.

E Horus?
No cari miei, non mi sono mica dimenticata di Horus! Ho deciso di lasciarvi la parte migliore per ultima…
Horus c’ha l’ansia perché tra un po’ diventerà mortale e quindi vuole procreare a tutti i costi.
Per prima cosa assume le sembianze di un falco, scende sulla terra e si impossessa del corpo di Nikopol, un sovversivo che si trova in prigione. Durante l’”evasione” Nikopol perde una gamba, così Horus lo piglia, lo porta alla fermata della metro, stacca un pezzo di rotaia ed emettendo raggi laser dagli occhi lo modella a forma di gamba. Sìsì, c’è la scena di Horus-fabbro che trasforma una rotaia in una gamba. È stato qui che ho cominciato a perdere fiducia nella pellicola. Ora vi chiederete giustamente voi, sei Horus e non puoi creare un arto umano dal nulla? Certo che potrebbe, ma non lo fa in modo da costringere Nikopol a eseguire i suoi ordini, poiché il poraccio da solo non riuscirebbe a camminare trascinando un quintale di lamiera.
Servendosi dell’avvenente rivoluzionario Horus vuole fecondare chi?? Ma Jill ovviamente!
Lei, che non lo sa, è una delle poche donne presenti sulla terra ad avere il potere di procreare con gli dei. Dopo averla abbordata, complice il carisma e la forza bruta da divinità, Horus\Nikopol ha con lei una notte di rapporti non del tutto consenzienti ed è qui che Enki Bilal ci fa capire che ha scritto la sceneggiatura per combattere un attacco di stitichezza.
Immaginate il quadro: Horus e Nikopol stravaccati sul letto con le mani dietro la testa in classica posizione post-sesso e l’umano che accusa la divinità di avergli fatto commettere uno stupro, con tanto di didascalico: “Tu pensi che le persone siano tue e di poterci fare quel che vuoi”. Sì, le femministe ringraziano, gli appassionati di cinema un po’ meno. La lite continua finché Horus, per far capire chi comanda, fa volare Nikopol contro il muro e questi risponde con “Horus, sei uno stronzo”.
Penso che quella sia la frase con cui Bilal si è finalmente liberato.
Da qui in poi l’argomento assume una connotazione trash-comica, con conversazioni tra Jill e Nikopol del tipo: “Ehi, ma lo stupratore che è dentro di te sta ascoltando la nostra conversazione?” BOH!

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Ordinari battibecchi
Last but not least, ogni tanto vediamo all’interno della piramide il dio Anubi e la dea Bastet che aspettano la fine di Horus giocando a Monopoli o a scacchi, da cui cito la frase topica: “Barando o non barando, Anubi?”
Ma barando de che?
Nota di merito per l’ignoranza con cui sono stati realizzati i corpi delle divinità: Anubi palestrato e una Bastet dal fisico degno di una modella di Victoria’s Secret. Ora, va bene che è la dea-gatto e i felini sono solitamente associati alla sensualità, ma dubito fortemente che gli antichi egizi avessero dei canoni di bellezza simili a quelli odierni. Ma forse il buon Enki ha mal interpretato il modo di dire “quell’attrice ha un corpo divino!”.  

Comunque tra una cosa e l’altra Horus riesce a far nascere il suo pargolo, Jill diventa umana e comincia una nuova vita, Nikopol finisce di scontare la pena e ritrova la donna. Tutto è bene quel che finisce bene.
Non ci avete capito niente? Ottimo, è come se aveste visto il film!

giovedì 8 settembre 2016

Victor - La Storia Segreta Del Dottor Frankenstein (2015)

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“Victor: La Storia Segreta del Dottor Frankenstein” appartiene a quella schiera di filmaz sciapi che mi lascia svuotata e mi porta a chiedermi perché mi sia mai interessato il cinema. È quel tipo di film piatto e sostanzialmente inutile in grado di annullare tutto ciò che di bello si sia visto prima.
Non so perché, ma i film insulsi mi fanno questo effetto e il peggior difetto di “Victor” è proprio quello di non avere sapore. È brutto ma non eccezionalmente brutto, eppure è troppo inconcludente e noioso per poter diventare il filmetto leggero di una serata poco impegnativa.

È l’ennesimo tentativo fallimentare di fare un film su Frankenstein, ormai girato e voltato in tutte le salse con risultati poco convincenti. (Esclusi i grandi classici, ovviamente)
Ecco, questa pellicola può trovare una sua utilità diventando un monito: smettete di realizzare film su Frankenstein! 


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No.
Cercherò di farla breve procedendo per punti: cosa c’è di bello in questo film?
La fotografia, le musiche, gli espedienti grafico-anatomici. Se si potesse convertire quest’opera in una serie di immagini, tipo fotoromanzo, forse si salverebbe, perché visivamente è davvero molto godibile.
Anche l’idea di raccontare la storia dal punto di vista di Igor è innovativa, ma non basta.
Cosa c’è di brutto? Beh… ho promesso che l’avrei fatta breve e io mantengo sempre le promesse!
Innanzitutto è un film troppo verboso, una specie di spiegone continuo sulle malattie, sulle intenzioni del professore, su come si crea un mostro, sul fatto che Frankenstein è ateo.
È come se scoprissimo la trama non vedendo quel che succede ma attraverso le parole dei personaggi, che non spiegano le vicende ma addirittura le anticipano! Un auto-spoiler continuo!
Battute a parte, questo continuo parlare e sviscerare i dettagli delle varie operazioni scientifiche toglie ritmo al film, lo rende pesante, lento. Questa lentezza cerca di essere stemperata da un taglio ironico-ritmato, che cozza non poco con l’atmosfera e il tema del film.
Tra l’altro, ho notato negli ultimi anni questa tendenza ad appioppare dialoghi degni di una sit-com a pellicole “in costume” e mi chiedo se sia una coincidenza o una tecnica riconosciuta o un nuovo genere.
Potrebbero chiamarlo Victorian-com. Beh, fatemi sapere.

Neanche la successione degli eventi è gestita benissimo: la prima ora e mezza è un susseguirsi di ostacoli che si frappongono tra l’allucinato dottor Frankenstein e la creazione del suo “mostro”.
Tuttavia colleghi che gli danno del pazzo, poliziotti moralisti che lo tampinano ed esperimenti mal riusciti non lo fermeranno: finalmente riesce a dare vita a questa enorme creatura, nella quale in qualche modo rivede il fratello morto e…
E niente, una volta creato ‘sto mostro, il dottore ci mette 30 secondi netti a decidere che è “cattivo” e a passare subito alla missione successiva: ucciderlo.
Sì, avete guardato un’ora e mezza di film con lui che cerca di creare il mostro e dopo mezzo minuto vuole ucciderlo.
Sì, non è niente di nuovo, lo sapevamo che la trama era questa ma si poteva rendere in maniera decisamente più accattivante e senza dare l’impressione di aver pensato: “sta per finire il film e siamo ancora qua quindi acceleriamo i tempi”.


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Bene ma non benissimo

Uno dei temi alla base di questo lavoro è la diatriba religione-scienza: come accennato poco fa Victor Frankenstein, il medico, la scienza, è perseguitato da un poliziotto ultra religioso che vuole incastrarlo essenzialmente perché è religioso e quindi non è d’accordo con l’operato del medico, che sembra voglia sostituirsi a Dio.
Tali concetti durante il film vengono ripetuti giusto una decina di volte: d’altronde l’antagonismo tra religiosità e progresso scientifico è un tasto che non viene mai toccato e che nessuno aveva mai sentito nominare prima, quindi era giusto ribadirlo spesso.

Ah già, e Igor? Igor è pettinato come Robert Smith e lavora in un circo dove tutti lo considerano un fenomeno da baraccone per via della gobba, ma in realtà è molto intelligente e si interessa di anatomia e medicina.
Una sera il dottor Frankenstein si trova proprio al circo e viene a conoscenza del talento medico di Igor: lo salva dalla situazione e lo prende sotto la sua ala. In 3 secondi capisce che la gobba non è una gobba ma una specie di ascesso gigante e glielo toglie, dando vita ad una delle scene più ripugnanti dell’intero film. 

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Ma bleah

Capiremo in seguito che, anche se Victor dichiara sempre una certa stima per l’amico (anche questa ripetuta circa una ventina di volte), che a tratti sembra quasi amore, il suo ego smisurato lo porta comunque a considerarlo la sua prima grande “creazione”.
Al di là dell’incipit in cui la fa da padrone, Igor ha sempre l’aria stupita e sembra appena piombato sul set, con un’espressione da “Cosa ci faccio io qui?” che tutto sommato non mi sento di biasimare. 

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I have no idea what I'm doing
Per il resto ama una trapezista del circo, un dato che oltre a fornirgli l’occasione di conoscere il medico a inizio film non ha nessuna incidenza sulla trama e rimane sempre un sottofondo confuso con poche scene sporadiche giusto per poter dire che c’era anche l’elemento romantico.


Detto questo mi sento di ripetere l’appello iniziale: basta coi film su Frankenstein!

P.S. Per la stampa: basta distribuire l'aggettivo "steampunk" a qualsiasi cosa in cui compaia un ingranaggio.

lunedì 11 aprile 2016

I 13 Spettri (2001)

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C’è una cosa che io devo smettere di fare, che è quella di dirmi: “Beh stasera sono proprio stanca, quasi quasi mi guardo un film horror leggero e vado a dormire”. Eh sì, perché la mia concezione di film horror leggero coincide con quelli che generalmente sono film horror belli se hai 15 anni e tutto quello che vuoi vedere è sangue e gente che muore. Di solito ammantiamo questi film di ricordi, di nostalgia, di un affetto che ci permettono di trovarli piacevoli anche anni dopo. E fin qui tutto bene.

Il problema subentra quando questi film li guardiamo direttamente in età adulta, senza il bagaglio emozionale che ce li fa piacere, e abbiamo anche la presunzione di aspettarci una trama non dico realistica sennò non guarderei un horror, ma almeno credibile all’interno dell’universo “fantasmi”.

Poi è anche peggio se sull’internet leggi pareri entusiastici e vedi gente condividere le foto di quel film come se fosse una pietra miliare e senti di essere l’unica scema a non averlo visto. È chiaro che le aspettative salgono alle stelle, e non mi si può neanche biasimare troppo!

Così approfitto della prima serata utile e guardo “I 13 Spettri”.

Il film comincia e il primo attore che riconosco è Matthew Lillard, che non è certo un campione della recitazione dato che l’unica cosa che fa è strabuzzare gli occhi e stiracchiare la bocca ma con lui ho potuto giocare il fattore Simpatia grazie a “Scream”. In questa pellicola è un sensitivo che lavora per un cacciatore di fantasmi: tuttavia si imbattono in uno spirito troppo potente e il cacciatore, tale Cyrus Kriticos, muore.

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Una tipica prova d'attore per Matthew Lillard
Cambio scena e vediamo una famigliola felice appena trasferitasi in una casa da favola: i due figli giocano complici in giardino, i genitori si dicono frasi romantiche… e sfiga vuole che scoppi un incendio e la mamma non ne esca viva.
Siamo a 15 minuti di film, abbiamo già visto uno spettro e 2 morti: la media è buona e proseguo.
A questo punto vediamo la ex famigliola felice a distanza di 6 mesi: il nervosismo è palpabile, hanno perso la mamma\moglie, la casa e tutti i soldi. Nonostante questo possono permettersi una domestica di quelle vecchio stile che vivono a casa 24\7, e già lì dovevo capire che c’era qualcosa che non quadrava.

Lo snodo della trama però è l’arrivo dell’avvocato: scopriamo che il capofamiglia è il nipote del cacciatore di fantasmi, con cui non aveva praticamente mai avuto rapporti ma il defunto ha deciso di recuperare la parentela lasciandogli tutto in eredità, in particolare una casa gigantesca. Ovviamente l’umore sale alle stelle e i 4 vanno a vedere la loro nuova abitazione, che si rivela non molto funzionale visto che le pareti sono totalmente di vetro, con strane scritte, porte invisibili e un’enorme clessidra girevole che li imprigiona sempre più nell’edificio.
Il papà lascia figlia, figlio e babysitter nell’ingresso dicendo le magiche parole
“Non muovetevi da qui” e segue l’avvocato nello studio. Naturalmente salta fuori Matthew Lillard travestito da elettricista, travestimento che durerà 2 minuti perché rivelerà subito di essere un medium e consiglierà a tutti di lasciare la casa.

Nel frattempo figlia, figlio e babysitter hanno iniziato ad esplorare la magione e con un livello di suspence pari a -100 cominciano subito a spuntare fantasmi qua e là.
Gli spiriti sono sicuramente fatti bene dal punto di vista visivo, ognuno ha una sua particolarità e grondano marciume da ogni poro, ma dal lato psicologico\personale sono stati totalmente trascurati.
L’unico tentativo di spiegare come mai ce l’abbiano tanto con chiunque gli capiti a tiro è un
“Queste persone sono morte violentemente”, ma è troppo poco.
“I 13 Spettri” arriva infatti qualche anno dopo “Il Sesto Senso” o “The Others” (tanto per citarne un paio), film che ci hanno abituati a risvolti più profondi di un fantasma arrabbiato perché sì. Lo so, lo so che è un paragone azzardato e forse fuori luogo, ma la sensazione di incompletezza rimane, e peggiorerà.

In un susseguirsi di scene velocissime che riescono lo stesso a sortire l’effetto “Noia Mortale”, succede che:
·         Scopriamo che i fantasmi si possono vedere solo con degli occhialini strategicamente sparsi in ogni stanza della casa
·         Botte su botte da parte degli spettri a chicchessia
·         La babysitter e Matthew Lillard iniziano a provare qualcosa l’uno per l’altra
·         I nostri vengono a sapere che lo zio conservava fantasmi in cantina per non si sa quale motivo
·         Tra i vari spettri c’è anche la mamma morta all’inizio, dunque capiamo che l’incendio non era affatto un incidente

A un certo punto, non so come e non so perché, i due figli vengono legati al centro della mega-clessidra e ricompare lo zio. Lo so che state pensando “Aaah sarà lui il 13esimo spettro” perché l’ho pensato anch’io, e invece no, è proprio vivo-vivo perché lo vedono anche senza occhialini.
In realtà il dottor Kriticos non è un semplice studioso di fantasmi ma ne deve catturare 13 con determinate caratteristiche per poter aprire l’Occhio Infernale. A cosa gli serva aprire l’Inferno non si sa, forse è solo curioso.

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Ecco dove l'avevo già visto!
Ecco che arriva lo spiegone per bocca dello stesso Cyrus: vuole spingere il nipote a sacrificarsi per i figli poiché gli serve l’ultimo spettro, generato dall’amore incondizionato. 
Per fortuna gli altri 12 spiriti si rivoltano contro di lui e grazie a loro si riesce a salvare capra e cavoli.

Non si salva il film in sé purtroppo, perché l’entrata della famigliola nella casa coincide con l’inizio della Noia per lo spettatore: infatti in realtà non succede niente, ci sono scene di botte a caso, comparse dei fantasmi a caso, inseguimenti a caso, per poi concludersi col finale senza senso. L’apertura dell’inferno tanto per buttarci qualcosa di esoterico che dia tridimensionalità al tutto ma che non viene motivata, così come non trova risposta la domanda: “Sì ok, ma per trovare l’ultimo spettro era necessario ripescare il nipote dimenticato, causare l’incendio, inscenare la morte e l’eredità?”

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Buh!

venerdì 25 marzo 2016

The Lobster (2015)

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Questa recensione stupisce me per prima, un po’ perché non mettevo mano a questo blog da un sacco di tempo, un po’ perché mi aspettavo che “The Lobster” mi sarebbe piaciuto, un po’ perché non mi sono resa conto di quanto non mi sia piaciuto finché non l’ho raccontato a mia mamma, trovandomi d’accordo col suo “MA CHE BOIATAAAA!”
Ero partita con le migliori intenzioni nei confronti di questo film: prima di tutto perché si può accorpare al genere “Distopia” che tanto amo e lo affronta da un punto di vista insolito, in più il cast è composto da bravi attori (Colin Farrell, Rachel Weisz, Léa Seydoux, Ben Whishaw, John C. Reilly). Non tra i miei preferiti ma di quelli che dovrebbero costitiure una sorta di garanzia (vabbè che se penso a quello che è successo con “The Counselor”...)
E insomma è Mercoledì sera, sono a casa del mio ragazzo, decidiamo di guardare un film e decidiamo per questo.
Comincia e già la fotografia è spettacolare: colori bellissimi, quasi innaturali, un’ambientazione pazzesca (l’Irlanda), inquadrature suggestive. Anche la regia si rivelerà piuttosto interessante, con dei rallenty strategici che associati alle musiche, piuttosto particolari al limite dell’inquietante, creano uno spettacolo audiovisivo che è un piacere sensoriale. Considerate poi che il regista Yorgos Lanthimos è greco, quindi offre un modo di concepire il cinema leggermente diverso da ciò a cui siamo abituati ma pur sempre facilmente fruibile anche per noi. E poi il protagonista dice che vuole venire in vacanza in Italia quindi c’è simpatia.
Veniamo però al dunque: cosa non ha funzionato? La cosa che non ho ancora menzionato, ovvero LA STORIA, che in un film non è un particolare da poco. In QUESTO film, con tutto l’ambaradan di immagini et musica che hanno messo su, una trama deboluccia avrebbe potuto facilmente essere mascherata, per una trama inconsistente il discorso però si fa più difficile.
Ho anche voluto essere buona e concedere il beneficio del dubbio, così ho fatto una breve ricerca per capire se “The Lobster” fosse tratto da qualche libro\racconto di quelli un po’ grottestchi-satirici-allegorici che è difficile trasformare in film ma pare che no, non ci sia neanche questa scusante.
Praticamente ciò che rende distopica la società di “The Lobster” è che è vietato essere single: il che, considerando che oggi (quasi) nessuno ha più voglia di sposarsi e mettere su famiglia, potrebbe apparire abbastanza distopico, però diciamocelo.. come nodo di una trama non ha un gran mordente.
Ricorda un po’ quei pensieri che si fanno da adolescenti quando si critica la gente che si fidanza a caso perché ha paura di stare da sola. Ci sta, l’avremo pensato tutti una volta o l’altra, ma è una “critica” un po’ debole su cui incentrare un intero film.

Torniamo ai nostri single: dal momento che questa condizione è inacettabile, tutti coloro che non hanno un compagno devono entrare in una sorta di clinica in cui incontreranno (si spera) l’anima gemella. Per farlo hanno un tempo limitato, che possono estendere partecipando a delle caccie interne; chi alla fine dei giorni a disposizione non avrà trovato l’altra metà della mela verrà trasformato in un animale.
Per “invogliare” gli uomini a trovare moglie, ogni giorno una cameriera entra nelle loro stanze e gli struscia il sedere contro il pacco, ovviamente senza arrivare al dunque, e a chi osa masturbarsi viene infilata la mano nel tostapane (vabbè..). Non viene invece mostrato il metodo per convincere le donne a sposarsi, e già qui c’è del sessismo e non mi sta bene.
Purtroppo fidanzarsi non è così semplice: gli ospiti della clinica infatti non possono scegliere un partner a caso tanto per salvare la pelle, ma devono avere con lui qualcosa in comune. E con “qualcosa in comune” intendo proprio “qualcosa”, il che apre la porta ad una sequela di cazzate mica da poco: per esempio, vediamo uno dei ragazzi della casa prendere a testate il comodino per farsi sanguinare il naso e riuscire a sposare una ragazza che soffre dello stesso problema (vabbè).
Credete che stia scherzando? Nossignori, è proprio così.
Dopo aver visto una fanciulla zitella venire trasformata in un pony il nostro amico Colin capisce che si fa sul serio e che è ora di sistemarsi: decide di puntare la stronza della situazione, una donna di cui si dice che non provi assolutamente niente di niente, anche se secondo me un po’ di odio sparso qua e là lo provava.
Inizia a corteggiarla e sapete quand’è che lei capisce che sono fatti per stare insieme? Quando finge di soffocarsi e lui, vecchia volpe, non la aiuta (vabbè).
Comincia la loro vita insieme e Farrell inizia a mostrare segni di affettuoso cedimento, così la Stronza mette a punto un piano per testare la sincera stronzaggine di lui.
Cioè gli fa fuori il cane. Sadicamente. E poi glielo racconta nei minimi particolari. Lui abbozza per un po’ ma alla fine non resiste, così lei vuole denunciarlo alla direttrice per aver taroccato il matrimonio e parte l’inseguimento nei corridoi della clinica.
La cameriera strusciona per qualche motivo lo aiuta, così lui tramortisce la Stronza e la porta nella camera delle trasformazioni, poi fugge.
Ecco, la cosa mi era parsa così lunga che credevo il film fosse finito lì, invece scopro che manca un’ora abbondante. Diciamo che se fosse terminato sarebbe stato un film così-così ma che poteva avere senso, almeno avrebbe avuto una storia con un inizio e una fine.
Invece no, continua con dei collegamenti di trama molto poco chiari e a me ancor meno chiari perché facevo fatica a rimanere concentrata per più di 3 minuti di fila, perciò cercherò di farla breve.
Il protagonista si trova in una foresta abitata da persone (forse) fuggite a loro volta dalla clinica, e la cameriera è una loro infiltrata (aaaah, ecco perché l’ha aiutato!).
Ben presto si scoprirà che la società ribelle applica le stesse regole della clinica (caccia compresa) ma, al contrario, qui è assolutamente vietato provare sentimenti amorosi verso qualcuno.
E qua l’allegoria maccheronica l’avrebbe capita anche un bambino: gli estremismi sono sempre brutti (che sono anche d’accordo, però dai.. buttamela lì più sottile).
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Naturalmente Colin Farrell si innamora di Rachel Weisz e i due escogitano un codice segreto per non farsi scoprire dagli altri. Per fortuna quando vanno in città devono fare finta di essere sposati, così facendo finta di fare finta pomiciano un po’, finché a casa di Léa Seydoux esagerano e lei s’incazza.


Probabilmente è qui che quest’ultima inizia a sospettare qualcosa e architetta lo scherzone gotico: siccome la cosa in comune di Colin&Rachel non era un’affinità di carattere, non erano le stesse ideologie, non era il fatto che si piacevano e basta bensì il fatto di ESSERE ENTRAMBI MIOPI (vabbè), Léa porta l’amica da un oculista con la scusa di una visita e la fa accecare. Che simpaticona! E qui il problema non è che l’amica bastarda ti abbia accecata a tradimento, ma che ora non avendo più nulla in comune con l’amato non potrete più stare insieme. Da quel momento ho spento il cervello per un po’ finché l’ho riacceso che i due sono in un locale, lui va in bagno, dirige una penna verso l’occhio e taaac! schermo nero e fine del film.
Si sarà accecato per amore? Sarà morto nel tentativo di farlo? Avrà avuto paura e sarà fuggito lasciando lì l’amata non vedente?

Chissà, decidete voi il finale che completa meglio la serie di “VABBE’” di questo film.